così pensava da buon inglese lo scrittore C.S Lewis, ma nel bel paese quando si parla di tecnologie informatiche questa affermazione sembra continuare a rivelarsi cronicamente sbagliata e ci troviamo troppo spesso a ripetere gli stessi errori.
La pandemia e il distanziamento forzato hanno dato una (modesta) spinta alla digitalizzazione nel nostro paese e anche i più restii hanno imparato parole nuove come “webinar”.
La videoconferenza è tra le tecnologie che hanno acquisito maggiore popolarità: privati, aziende e pubblica amministrazione, tutti abbiamo utilizzato un software per relazionarci e comunicare nei diversi contesti.
E così in questo gennaio di zone rosse il Centro di studi ebraici di Torino ha organizzato un incontro online per presentare l’ultimo lavoro della scrittrice Lia Tagliacozzo. L’iniziativa si è svolta sulla piattaforma Zoom e durante la diretta qualche triste individuo ha sentito il bisogno di intervenire con simboli e propaganda antisemita.
“Zoombombing”, è il termine utilizzato per indicare le interruzioni indesiderate durante una videoconferenza, e per la comunità ebraica torinese non è una novità, già a novembre un altro webinar organizzato dall’associazione Anavim aveva subito un invasione con slogan violenti.
Organizzatori tecnicamente impreparati o Nazi-Hacker superskillati?
La semplicità e la natura gratuita del prodotto hanno reso Zoom una delle piattaforme più diffuse per le videoconferenze, arrivando a gestire centinaia di milioni di utenti durante il lockdown di primavera.
“We now have a much broader set of users who are utilizing our product in a myriad of unexpected ways, presenting us with challenges we did not anticipate when the platform was conceived.”
questo dichiarava ad aprile Eric S. Yuan, CEO di Zoom: il sistema non è stato progettato per essere utilizzato in qualsiasi contesto e il problema degli accessi abusivi è tanto vecchio quanto la popolarità del software che non accerta la sicurezza degli utenti ma lascia agli stessi la gestione e la responsabilità delle configurazioni che quando non viene effettuata correttamente lascia esposti a possibili violazioni.
Il buonsenso impone di utilizzare lo strumento giusto per un determinato contesto: le padelle che utilizziamo nei fornelli di casa sono diverse da quelle utilizzate nelle cucine della ristorazione e nessuno penserebbe mai di tagliare l’erba del cortile con un trattore.
Zoom non è un software scadente se vogliamo fare una videoconferenza per condividere una birra con gli amici, ma in un contesto pubblico o aziendale non fornisce sufficienti garanzie e rischia di trasformare le nostre iniziative in grotteschi teatrini.
Scegliere sempre il prodotto gratuito o quello più economico soprattutto nel campo delle telecomunicazioni può portare a costi e disservizi imprevedibili.
Per trovare la risposta adeguata alle nostre richieste bisogna affidarsi a quei professionisti che abbiano l’esperienza per adattare le soluzioni alle nostre esigenze cercando sempre di bilanciare il rapporto costi/benefici.
PS: per le birre con gli amici io preferisco Jitsi: nessuna registrazione, cross platform ed una esplicita mancanza di sicurezza, mentre per avere una soluzione professionale oggi Wildix è tra quelle più scalabili, offre un’interfaccia intuitiva ed è sviluppato con il principio della security by design che garantisce la protezione delle comunicazioni…
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